Pizza a parte (che non è una ricetta ma un simbolo), il piatto italiano più famoso del mondo – lo certifica Google – è la carbonara. Una cosa bellissima, ma questa diffusione continua a porre un problema: se persino in Italia esiste un’eterna querelle fra tradizionalisti, rinnovatori e innovatori, figuratevi fuori dai nostri confini.
Si trova di tutto e il contrario di tutto: dalla besciamella al posto dell’uovo, dalla carne affumicata al posto del guanciale, al trionfo della panna, serenamente impiegata anche dai grandi chef come Gordon Ramsay. Da qui l’idea di ristabilire la verità e restituire giusta dignità al piatto, usando i social: per il terzo anno consecutivo, il 6 aprile si festeggia il #CarbonaraDay, un appuntamento su Twitter dove blogger, giornalisti, influencer e chef diranno la loro sulla carbonara. Ma tutti potranno postare la foto della propria versione, intervenire sulla scelta degli ingredienti, raccontare la peggiore che si è mangiato e via dicendo. E tanti locali – come quelli della nostra selezione – lo celebreranno con una versione speciale o canonica del piatto.
Perché il 6 aprile? Correva l’anno 2016… e in quel giorno nacque un flash mob culinario con uno scopo preciso: «massacrare» (giustamente) una video ricetta «eretica» apparsa qualche giorno prima sul sito francese Demotivateur (se non la conoscevate, la vedete qui). Nel filmato, appariva un tegame in cui vengono sgraziatamente buttate tutte insieme cipolla, pancetta e pasta (farfalle per l’esattezza), successivamente ricoperte con acqua. Quindici minuti sul fuoco, un cucchiaio di panna, uno di parmigiano, un uovo piazzato sopra, et voilà, il gioco è fatto. Una sofferenza. Dal flash mob si è arrivati a un evento annuale per celebrare la nostra ricetta, quella vera, promosso dalle associazioni Aidepi (Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) e Ipo (International Pasta Organisation)
Orgoglio culinario a parte, va ammesso che se il limite (risaputo) della nostra cucina resta la mancanza di codificazioni, nel caso della carbonara siamo a una mezza anarchia. Pensate che la Sacra Rota del cibo – l’Accademia della Cucina Italiana – definisce la carbonara come «la pasta più falsificata d’Italia nei ristoranti, con ingredienti scorretti e discutibili a cominciare da quella maledetta panna, per finire all’utilizzo del prosciutto crudo al posto di guanciale o pancetta».
Tutto questo nonostante la stessa Accademia individui una ricetta originale della carbonara piuttosto libera e nient’affatto integralista: spaghetti, guanciale (o pancetta, dolce o affumicata), aglio, uova, parmigiano, pecorino, olio extravergine d’oliva, sale e pepe. Il formato preferibile è lo spaghetto anche se per noi i rigatoni e le mezze maniche si prestano bene all’opera.
In questo liberalismo, i puristi irriducibili evitano anche di usare l’olio, affidandosi unicamente al grasso del guanciale sciolto in padella per condire la pasta, ma anche senza voler essere integralisti ci sono degli errori che nel preparare una carbonara è veramente importante non fare. Se si può sopravvivere a una pancetta tesa al posto del guanciale, sostituire del tutto il pecorino con il Parmigiano è un insulto ai territori dove, al di là delle teorie sulle origini, questo piatto è di casa ossia Lazio e Abruzzo. Per salvaguardare il gusto, invece, vanno assolutamente evitate le aggiunte di panna, che risulta untuosa e svilente per il gusto finale, nonché di aglio e cipolla, troppo forti in una ricetta dal gusto corposo.
Va altresì detto che c’è un peccato originale. Se è vero che su parecchi dei nostri grandi piatti ci sono ancora dubbi sulla paternità vera ma almeno sussiste qualche certezza (tipico esempio: la costoletta alla milanese), sulla carbonara siamo ancora alla fase iniziale. Intanto, stranamente, non si trova traccia della ricetta attuale sino al Secondo Dopoguerra.
L’ipotesi più accreditata dagli storici della cucina è quella legata alle migrazioni stagionali delle popolazioni appenniniche: i carbonai, in particolare, pare portassero nelle loro bisacce uova oltre al pecorino e al guanciale, che poi utilizzavano come condimento facendo cuocere la pasta in fuochi da campo. Un piatto facilmente eseguibile, fatto con ingredienti di semplice reperibilità e conservazione; aveva, inoltre, il vantaggio di essere molto nutriente e di forniretutta l’energia necessaria allo svolgimento di un lavoro duro come quello del carbonaio. Curioso però che questa ricetta non compaia né nella sempre citata Scienza in cucina dell’Artusi a fine ‘800, né in tutti i libri dedicati alla cucina popolare romanesca, editi prima del 1944, a cominciare dalla Cucina romana di Ada Boni (1930)
Ma c’è un’altra ipotesi che ha a che fare con la Capitale e spiegherebbe perché si inizi a parlare della carbonara dopo il 1945: per lo storico e archeologo della cucina Emilio Dente Ferracci, l’invenzione sarebbe merito dei militare statunitensi durante la Seconda Guerra mondiale che portavano sempre con loro la «razione K», ossia tuorlo d’uovo in polvere e pancetta affumicata (il bacon). Che poi, in Italia, qualcuno – un soldato, o più probabilmente un italiano – pensò bene di utilizzare per condire gli spaghetti. E il nome? Carbonara si rifarebbe al fatto che non di rado, le truppe a stelle e strisce vendevano agli italiani la razione K alla borsa nera, visto che era richiestissima: da qui il termine che in italiano richiama gli affiliati alla società segreta durante i moti del Risorgimento. Curioso: un pizzico di mistero ha dato origine – forse – a uno dei piatti più amati dagli italiani e meno segreti in assoluto…
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