Come si fanno gli strangolapreti nel Salento (e altre belle storie di cucina)

Come si fanno gli strangolapreti nel Salento (e altre belle storie di cucina)

ricetta degli strangolapreti secondo le Tarante
La ricetta degli strangolapreti secondo le Tarante
Che fai, mangi? Piccolo libro di ricette 4.0 postlocal, una mangiata di archetipi per non morire di fame
La cucina della Taranta
Che fai, mangi? La ricetta degli strangolapreti secondo le Tarante (e altre opere d’arte)
Che fai, mangi? La ricetta degli strangolapreti secondo le Tarante (e altre opere d’arte)
Che fai, mangi? La ricetta degli strangolapreti secondo le Tarante (e altre opere d’arte)
Che fai, mangi? La ricetta degli strangolapreti secondo le Tarante (e altre opere d’arte)
Che fai, mangi? La ricetta degli strangolapreti secondo le Tarante (e altre opere d’arte)

Ogni regione italiana ha il suo e ogni volta ha una forma e una ricetta diversa: nel caso del Salento lo strangolaprete è anche uno gnocco di patate (di cui trovate la ricetta nella gallery sopra) tradizionalmente accompagnato – per chi lo mangia – dal ragù di cavallo, ma speciale per il suo nome evocativo, quasi «cruento». Una caratteristica comune a tanti piatti della cucina salentina: non è raro ritrovarsi su una stessa tavola, davanti a «cecamariti» (frittelle con zucchine, peperoni e pomodori), «muersi» (rape con ceci e pane fritto), «nfocagatti» (dolcetti ricoperti di zucchero), magari anche un po’ di «spurchia» (che vuol dire sfortuna, ed è il nome di un’erba che cresce vicino alle fave in primavera e che viene servita lessa).

«La taranta, inteso come femminile salentino in senso antropologico, quando è arrabbiata fa venire fuori l’amaro, il piccante e li mette molto spesso in cucina» racconta Titti Pece, storica dell’arte e contemporaneamente artista eclettica e appassionata studiosa di gastronomia, che di questi piatti dai nomi così particolari (e di molto altro) parla nel suo nuovo libro Che fai, mangi? Piccolo libro di ricette 4.0 postlocal, una mangiata di archetipi per non morire di fame.

Non è semplicemente un libro di ricette piuttosto un libro d’arte (e di famiglia), reso prezioso anche dalle opere del marito dell’autrice Giancarlo Moscara  che è stato, e resta, uno dei più apprezzati artisti salentini – e dalle foto del figlio Marcello, sapientemente alternate a suggestioni cinematografiche e letterarie (quelle che Titti chiama i «Pizzicata Sentiment»).

«Mi piace dire che questo è anzitutto un libro di cucina sentimentale», dice Titti Pece. «Oggi la cucina è globalizzata, il cibo è considerato merce e la cucina gourmet, sebbene sia di ricerca e di valore, non produce memoria. Un pranzo o una cena in un ristorante sublime sono un’esperienza unica, ma molto diversa dal sapore che nasce dai ricordi di casa, da un incontro, da quel caleidoscopio di sensazioni e cultura che costruisce una mappa emozionale. Quando parlo di cucina sentimentale intendo «la mia cucina», intesa come quella di ognuno di noi, fatta di sapori, ma anche di film, di arte, di persone».

Da qui l’autrice è partita per raccontare 30 piatti simbolici del Salento e di tutto il Mediterraneo e la loro comune radice matriarcale, «perché  – dice – sono frutto del lavoro di donne che hanno sapientemente arricchito la cucina contadina con sapori di quella nobiliare (e viceversa), con tenacia, passione, ma anche uno spiccato senso di umorismo». Un libro senza cliché, è anche un invito a un nuovo viaggio: «Calvino – conclude Titti Pece – scriveva che viviamo in un’epoca in cui conosciamo già tutto e abbiamo già visto tutto. L’unica cosa che non possiamo provare se non andando sui luoghi è la cucina: è l’unica cosa del viaggio che resta, a noi sta saperla assaporare». Nella gallery sopra la ricetta degli strangolapreti e alcune illustrazioni del libro

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