I riti della pastiera napoletana: storia e leggende del dolce più amato di Pasqua

I riti della pastiera napoletana: storia e leggende del dolce più amato di Pasqua

Pastiera di grano: la ricetta di famiglia
Pastiera di grano: la ricetta di famiglia
Pastiera di grano: la ricetta di famiglia
Pastiera di grano: la ricetta di famiglia
Pastiera di grano: la ricetta di famiglia

Non c’è tavola di Pasqua in Campania senza pastiera: è il dolce della tradizione per eccellenza, quello che deve mancare mai. Non solo perché è buonissima, ma anche perché in questo mix perfetto di zucchero, ricotta, grano, profumi di agrumi e fiori è racchiusa una lunga storia, carica di significato e di tradizioni.

La pastiera è un dolce leggendario, nato dal mare. La protagonista della storia più diffusa sulla sua nascita è la Sirena Partenope: aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli e, in segno di  devozione, secondo questa leggenda, le furono portati sette doni come simboli di fertilità, abbandanza, ricchezza, dolcezza. I doni erano la farina, le uova, la ricotta, il grano, i fiori d’arancio, le spezie e lo zucchero che poi Partenope in segno di ringraziamento mescolò per creare il dolce.

LA STORIA
Quel che è certo è che, come tanti altri dolci sublimi, la ricetta originale della pastiera è nata in un convento, a San Gregorio Armeno: tutto grazie a una suora che, nel ‘700, pensò di abbinare gli ingredienti simbolo della Pasqua cristiana alla ricotta (presenza fissa di tante altre ricette campane), e ad altri ingredienti da poco arrivati dall’Oriente, come la cannella. Tra le prime ad assaggiare la sua pastiera, Maria Teresa D’Austria, moglie del (goloso) re Ferdinando II di Borbone: la regina, non proprio famosa per la sua simpatia, mangiando il dolce sorrise per la prima volta in pubblico. È da allora che non c’è Pasqua a Napoli, e in tutta la Campania, senza pastiera.

UN RITO DI FAMIGLIA
Se la pastiera è stata destagionalizzata anche nel resto d’Italia, ed è ormai presenza fissa in diverse pasticcerie per tutto l’anno (a Napoli fuori stagione la fanno spesso in formato mini), in Campania si prepara in casa solo per la festa: non solo perché è un dolce molto laborioso, ma perché la sua preparazione è un rito familiare, parte integrante della Settimana Santa. Si comincia di mercoledì, con l’impasto per la frolla e con il grano, che richiede lunghe ore di lentissima cottura (durante le quali va costantemente mescolato) e il giovedì santo è il giorno del raduno: genitori, figli, e rispettivi figli (se ci sono) di una stessa famiglia, si incontrano nella stessa casa, ciascuno con il suo impasto e i suoi ingredienti per comporre il dolce. Anche se la base della ricetta resta quella tradizionale con grano e ricotta, il ripieno spesso si personalizza secondo il gusto personale – c’è chi lo fa con i canditi e chi senza, c’è chi frulla tutto il grano o in parte per lasciare alla pastiera la sua tipica consistenza granulosa, e anche chi aggiunge qualche cucchiaio di crema pasticciera, per renderlo più avvolgente – e il bello alla fine è anche confrontare i risultati.

LA REGOLE DELLE SETTE STRISCE
C’è una regola, però, che tutti devono rispettare alla lettera: a ricoprire il ripieno della pastiera ci devono essere solo sette strisce, tre in un verso e quattro nell’altro per formare rombi perfetti. Sono sette come gli ingredienti portati in dono a Partenope che servono a preparare il dolce, ma anche sette come i quartieri del centro storico di Napoli: i tre Decumani (superiore, maggiore e inferiore) e i quattro Cardini (i vicoli) della città antica.

LA COTTURA
Momento finale, e altrettanto fondamentale, del rito della preparazione è la cottura: una pastiera, per essere buona, deve essere cotta alla perfezione, e questo passaggio richiede molte ore. Un tempo, anche per far prima, per cuocere le pastiere ci si radunava intorno ai forni a legna delle case di campagna, gli stessi dove prima ancora ci si alternava per cuocere il pane ciascuno con il proprio impasto. Può trascorrere anche una giornata intera, infatti, intorno a un piccolo forno casalingo, anche perché non si prepara mai una sola pastiera alla volta. Ogni famiglia ne fa tante: per sé e da regalare come augurio di buona Pasqua a chi si ama, perché la pastiera è un simbolo di rinascita, di amore, e non ce n’è mai abbastanza.

IL DOLCE DELL’AMORE
Questo scambio di auguri e di dolcezza si fa in genere di Sabato Santo, cioè circa due giorni dopo averla preparata, perché prima la pastiera non si può mangiare: contiene grassi di originale animale come lo strutto perciò non è contemplata tra i piatti di magro del venerdì santo e in verità – e lo sanno bene anche i non credenti – se riposa un giorno è persino più buona. In effetti, se è un dolce così speciale, è anche perché è un dolce che, chi apprezza, sa ancora aspettare. Nella gallery sopra la ricetta della pastiera

La ricetta in gallery è la ricetta della mia famiglia, quella che faceva mia nonna Tittina e prima ancora la mia bisnonna Raffaela. Ringrazio loro, la mia mamma Maria Pia Lanzetta e le mie zie Anna e Nunzia Lanzetta per avermi aiutata nella stesura dell’articolo, e per avermi cresciuta con tanta dolcezza, anche facendo la pastiera.

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