Libroterapia: ecco che cos’è e come funziona questo ramo della psicologia
“Libroterapia: ecco che cos’è e come funziona questo ramo della psicologia” è stato pubblicato su Vegolosi, magazine di cultura e cucina 100% vegetale
Siete preoccupati per le vostre finanze? Aprite Il grande Gabtsy: Fitgerald vi aiuterà a inquadrare il problema nella giusta prospettiva. La vita vi ha disilluso e non credete più all’amore? 1Q84, la trilogia di Murakami, è ciò che fa al caso vostro. L’amore, non corrisposto questa volta, è ciò che vi fa soffrire? Il Buzzati di Un amore vi svelerà cose, dell’amore, che mai avreste pensato. Forse Joyce non potrà fare molto se inavvertitamente, sbattendo un piede contro l’angolo del divano, proverete un dolore tanto acuto quando repentino, ma “curare” e “curarsi” coi libri si può. Lo fa la “libroterapia”, un ramo della psicologia che, seppur non ancora codificato, sta prendendo sempre più piede come pratica in psicoterapia. Ma, a ben vedere, lo facciamo anche noi da soli ogni volta che, aprendo un libro, ci lasciamo interrogare da domande capaci di spalancare mondi.
Libri che curano: in che senso?
Sul concetto di “cura” applicato alle storie e ai libri (ma il discorso è valido anche se si parla di cinema o serie tv), bisogna, innanzitutto, intendersi. “Se oggi non mi sento perfettamente a mio agio con me stessa e penso che ci sia un libro perfetto da ‘assumere’ come fosse un farmaco, ecco questa è una falsa idea”, premette la psicoterapeuta Rachele Bindi, lettrice accanita, tra le prima psicologhe in Italia a fare ricorso ai libri nella stanza di terapia. “Non dobbiamo confonderci: i libri ‘curano’ purché la persona sia disponibile a mettersi in relazione con la storia che sta leggendo. Diciamo che sono un escamotage perfetto per avviare un dialogo con se stessi“.
All’influenza profonda che la narrazione può esercitare sulle nostre vite, Bindi ha dedicato il suo saggio I libri che fanno la felicità nel quale racconta il suo approccio alla libroterapia. Nel titolo che ha scelto per il volume è racchiuso il senso del suo lavoro: “Sostituiamo l’idea di cura con l’idea di felicità così come la indicavano i greci: è l’eudaimonia, ovvero tutto ciò che funziona nell’ottica di nutrire il proprio daimon, la propria essenza. Attraverso la storia e i personaggi, i libri – prosegue la psicoterapeuta – mettono in atto dei meccanismi identificativi e proiettivi che danno la possibilità alla persona di affrontare una serie di questioni in un modo più soave e meno diretto. È quello che succede quando, leggendo, comincio a domandarmi qualcosa su me stesso: cosa, della storia che ho davanti, mi attiva in positivo o in negativo? Quale personaggio sento vicino o distante? Il passo ulteriore è chiedersi perché”.
Rispecchiamenti e archetipi
È così, dunque, che si aziona il potere terapeutico delle storie, attraverso un sottile gioco di rispecchiamenti e differenze capace di scavare in profondità, anche quando i personaggi che abbiamo di fronte e le loro avventure nulla sembrano avere a che fare con noi. Molto lo si deve agli archetipi narrativi, a quelle figure collettive delle quali la letteratura è piena sin dalla mitologia greca e che rappresentano parti inconsce di noi stessi. Nei libri “c’è la possibilità di vedere la propria vicenda rispecchiata in storie universali. Se esco dal mio egocentrismo – ci dice ancora Bindi – mi rendo conto che quello che sto vivendo lo hanno già vissuto altre persone prima di me. Posso anche leggere qualcosa che non mi assomiglia per niente, ma che ha un legame più profondo, che va al di sotto di quello che io conosco come storia di me e che ha a che fare con il filtro che metto quando mi racconto la mia vita”.
Ed è qui che scatta il meccanismo di “cura”: “Oltre a mettere in atto i meccanismi tipici della relazione terapeutica (identificazione, proiezione e catarsi), nella libroterapia le nostre strutture interne (quelli che Jung chiamava “complessi a tonalità affettiva”) possono arricchirsi di nuovi significati. Questo arricchisce il nostro bagaglio adattivo, ci rende maggiormente consapevoli di noi stessi e più empatici, oltre ad aumentare le nostre capacità di affrontare le sfide quotidiane, grazie al maggior numero di punti di vista a nostra disposizione”.
Imparare a raccontarsi
C’è, poi, un altro aspetto. “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla“, scriveva Gabriel García Márquez nella sua autobiografia. L’autore di Cent’anni di solitudine intitolò, non a caso, quel “libro che aveva cercato per tutta la vita”, Vivere per raccontarla. Anche senza essere premi Nobel per la letteratura, anche noi ci “raccontiamo” la nostra vita costantemente ed è quel racconto a costituire la nostra memoria e identità. Leggere i libri, ascoltare storie altre dalla nostra, ci aiuta anche ad acquisire più strumenti espressivi per compiere e arricchire questa narrazione che contribuisce alla consapevolezza di sé. “L’ideale – sorride Bindi – sarebbe imparare a fare degli esercizi di stile alle Queneau o alla Calvino e concedersi di cambiare punto di vista: se non fossi me stesso e fossi qualcun altro come racconterei quello che mi sta succedendo? Cosa cambierebbe? Di solito si tratta di aspetti minimi, dettagli che ci mettono a disagio. Ed è lì che inizia il bello”.
Sì, perché i libri non hanno “effetti collaterali”. “La cosa che può succedere è sbagliare l’aspettativa, stare poco bene e aspettarsi di tornare a sorridere leggendo un libro. Magari invece, a livello inconscio, quello che serve è un’immersione totale in quello stato un po’ blue favorito dal libro che si sta leggendo e che ci si deve poter concedere per capire meglio. Questo – evidenzia Bindi – noi lo etichettiamo come un peggioramento ma in realtà non lo è affatto, anzi”.
Ma di cosa siamo “malati” oggi?
Interessante è anche provare a ribaltare il punto di vista. Se le storie dei libri, come quelle dei film, sono capaci di raccontarci chi siamo e mettere a posto pezzetti di noi un po’ malconci, guardando i libri che leggiamo possiamo capire, forse, quali sono i mali che ci affliggono. Da questo punto di vista, un osservatorio privilegiato è quello di Elena Molini, libraia, fondatrice della “Piccola Farmacia Letteraria”. Dopo anni di lavoro in una grande libreria di catena, nel 2018, insieme alla sorella e a un’amica, entrambe psicologhe, Molini ha aperto una piccola libreria di quartiere nella sua città, Firenze. La “Piccola Farmacia Letterari”a è, però, un negozio speciale nel quale i libri non sono catalogati per autore o genere, ma per emozioni. Qui, chi entra cerca più di un libro da leggere per passare il tempo: “Con i librai le persone tendono ad aprirsi tantissimo, spiegano cosa stanno cercando e i propri gusti, raccontano il momento che stanno vivendo, i desideri e le speranze per il futuro”, spiega. “Noi le lasciamo libere di esprimersi e poi consigliamo un libro sulla base di quello che ci hanno raccontato, e anche di quello che non hanno detto”.
Libraie e psicologhe della Farmacia Letteraria da cinque anni suggeriscono libri – accompagnati da bugiardino con tanto di posologia – e scrutano l’animo umano attraverso le parole. Il 90% dell’utenza, sia del negozio fisico che dello shop online, è femminile: “Il problema principale che viene fuori è la mancanza di autostima, il bisogno di conferme da parte degli altri, ma anche di sé stessi»” ha osservato nel corso del tempo la libraia-farmacista. Ma anche qui la pandemia ha fatto sentire la sua mano pesante. Se prima le richieste più gettonate erano per emozioni quali mancanza di fiducia e mal d’amore, oggi è la voglia di cambiamento a spingere le persone a cercare risposte tra le pagine di un libro: “La pandemia ha fatto riflettere e ha cambiato spesso le priorità. Molti non sono soddisfatti della propria vita, del lavoro che fanno e vorrebbero cambiare. La letteratura aiuta perché ci mette di fronte a modi diversi dal nostro nel reagire a questo bisogno, ci stimola a cambiare prima di tutto il nostro modo di pensare“.
Attenti alle generalizzazioni
Ancora una volta, però, il consiglio delle esperte è: attenti a non banalizzare e, soprattutto, a non generalizzare troppo, come fanno, per esempio, libri come i manuali di self-help. Sempre più numerosi sugli scaffali delle librerie fisiche e virtuali, danno consigli su ogni cosa, dallo stop al fumo al dimagrimento in poche mosse fino al coaching professionale e alla crescita spirituale. “I libri di auto-aiuto sono il contrario di quello che è il lavoro su sé stessi: non esiste una regola che va bene per tutti“, ricorda la psicoterapeuta Bindi. “Se non si è ancora consapevoli di qualcosa di sé i libri di self-help possono aiutare a mettere a fuoco. Ma poi il lavoro che una persona si deve concedere è più profondo. Tutto ciò che è generale difficilmente funziona: siamo tutti così diversi l’uno dall’altro che è difficile che ci sia una regola universale”. Meglio, piuttosto, un grande classico della letteratura capace di parlare a ognuno in modo diverso aprendo le porte all’approfondimento e al confronto con gli altri.
Leggere in gruppo
Il bello dei libri, infatti, è che ognuno è in grado di vederci dentro qualcosa di diverso. Non è soltanto questione di gusti legati a generi e autori quanto piuttosto, come abbiamo visto, alla storia personale, al modo in cui essa risuona con quella scritta sulle pagine del volume o dell’e-reader che abbiamo in mano. Ed è per questo che, spesso, la libroterapia si svolge all’interno di un gruppo nel quale i punti di vista e le possibilità migliorative si moltiplicano potenzialmente all’infinito. Al di là della stanza di terapia vera e propria e della lettura individuale, ciò ha effetti benefici anche in contesti collettivi più generali, come quelli scolastici, per esempio: “Tutti possono fruire dell’educare attraverso le storie – prosegue Bindi –. Non significa insegnare a fare quello che fa il protagonista, ma aprire un confronto sulla storia e i personaggi. Attraverso i libri, i bambini possono esperire dei modi di essere diversi che aumentano l’empatia e le capacità di relazionarsi con l’altro, diminuiscono i casi di bullismo, le differenze di genere, la stereotipia. Pensiamo anche a un contesto come il carcere: lì dove la vita è deprivata, la letteratura ci può aiutare ad avere materiale sul quale riflettere”.
Come scegliere il libro giusto
Ma come scegliere il libro giusto per sé in un particolare momento? Se ci si vuole divertire un po’, sono molte le pubblicazioni che consigliano autori e titoli in base a situazioni diverse, come Curarsi con i libri, il ricco manuale edito da Sellerio dal quale abbiamo preso spunto anche noi per le “medicine” segnalate all’inizio di questo articolo. Al di là del divertissement, ci sono poi le consulenze degli psicoterapeuti che, come la dottoressa Bindi, fanno un ricorso specialistico alla libroterapia. Ma spesso, come abbiamo visto, anche un libraio preparato e disposto ad ascoltare può darci una mano. Molto, possiamo fare anche noi imparando a conoscerci meglio, prima di tutto come lettori. “Stendiamo un elenco dei libri letti nell’ultimo anno – ci consiglia Bindi –. Indichiamo in rosso ciò che abbiamo letto e non ricordiamo e in verde i titoli che ricordiamo meglio. I rossi, probabilmente, gireranno tutti intorno a un tema o avranno qualcosa in comune. Iniziamo a domandarci che cosa. E poi – conclude la psicoterapeuta – rispetto alle proprie caratteristiche o ad aspetti che si percepiscono come difetti proviamo a individuare dei personaggi letterari simili a noi ed entriamo in comunicazione con loro. Quando iniziamo a leggere così poi non si torna più indietro”.
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