Avevo portato a casa dalla redazione un libro sul pane, probabilmente l’ho fatto per ispirazione provvidenziale, perché era proprio qualche giorno prima del 21 febbraio. Da quel giorno, dal caso del «Paziente 1» Mattia (ormai lo chiameremo tutti paziente uno anche se probabilmente non lo è), non siamo più tornati in ufficio.
La prima delle ispirazioni provvidenziali in realtà era stata quella di comprare un televisore, e succedeva solo una settimana prima di ritrovarci rinchiusi. La seconda, il libro del pane. L’ho guardato senza prendere seriamente in considerazione l’idea di usarlo per qualche settimana, poi domenica sono caduta anche io come tanti nella tentazione del «fai il pane a casa». Potrei comprarlo a 100 metri dal mio portone e senza coda, ma l’attrattiva dell’autarchia è forte. Almeno – mi sono detta – non ho postato la foto su Instagram, anche se forse sto facendo di peggio, la metto addirittura on line. Ma vorrei pubblicare questa storia solo per un motivo: l’esaltazione, da parte di una persona non particolarmente esperta in cucina, non solo di riuscire a fare il pane al primo colpo, ma di farlo buonissimo. Fare il pane è una soddisfazione, va detto, è come risalire la storia, capire perché è alla base della nostra cultura e perché è rito.
Però, attenzione: ci tengo a sottilineare che la riuscita non è assolutamente merito di chi l’ha fatto, ovvero mio. Avevo appena appeso il telefono tentando di chiudere in fretta una delle «telefonate della quarantena» per non farmi deconcentrare, ma i continui messaggi, chat e chiamate che si sono scatentati in questo periodo riescono a mettermi una strana e surreale idea di urgenza, anche la domenica dopo oltre un mese a casa da sola. Quindi ho fatto il pane come se dovessi sbrigarmi e anche disattenta, non certo con quell’atmosfera filmica e poetica che in tanti immaginano, con la musica giusta e il sole del mezzogiorno. No. L’ho fatto senza alcuna concentrazione, ho sbadatamente seguito la ricetta e ho infornato il tutto nel mio modesto forno. Quindi, non ci sono dubbi, il risultato è solo merito di una ricetta prefetta e precisa.
Nel libro, non ancora menzionato, ma che è Il Fornaio della domenica di Sabrine d’Aubergine (edito da Tommasi editore) ci sono una mirade di ricette (si possono fare moltissimi pani diversi). Io ho scelto quella con meno igredienti, una di veloce preparazione (tutto insieme 1h30) e una che tra l’altro mi piace, perché sono quei panini di pasta dura che hanno la mollica come avvoltolata su se stessa. Insomma, si può fare. Gli ingredienti sono farina, acqua, olio, sale e lievito, poi serve il tempo di cui sopra e un mattarello. E un po’ di voglia di impastare, perché la pasta di farina di grano duro e così come suggerito: tenace. Forse colpa della «mitica» per noi inesperti «maglia glutinica»? Non so, le mie conoscenze non arrivano a tanto. Ma ecco la ricetta, da provare assolutamente (tratta dal libro per gentile concessione).
INGREDIENTI
Per 8 panini
500 gr di farina Manitoba (ndr, io ne avevo una di grando duro rimacinato, forse è lo stesso)
un cucchiaio di sale fino
250 ml di acqua tiepida
25 gr di lievito di birra fresco
3 cucchiai d’olio extravergine di oliva
PREPARAZIONE
1. Mescolate farina e sale in una ciotola capiente. Sbricolate il lievito e passatevelo tra le dite con la farina, per distribuirlo bene
2. Aggiungere l’acqua e l’olio, e mescolate con il cucchiaio fino a che ce la fate (probabilmente non riuscirete a catturare tutta la farina)
3. Ora, sarà pur vero che questo è un pane che si prepara a colpi di matterello, ma dev’esserci una gradualità anche nell’uso delle maniere forti, perciò lavoratelo un po’ a mano prima di andare giù pesante. Iniziate dentro la ciotola, prima con degli “apri & chiudi” e poi come potete, qualsiasi tecnica va bene. Resistete alla tentazione di aggiungere liquidi e continuate finché il tutto non sta insieme in un unico pezzo: ci vorranno alcuni minuti di intenso lavoro.
4. Traferitelo sul piano e dategli 5-6 torciture appena accennate, è troppo compatto e asciutto per distendersi. Mettendovi energia, usate entrambe le mani per allungarlo e stirarlo bene mentre lo riavvolgete.
E se mentre siete lì che allenate i bicipiti e vi chiedete chi ve l’ha fatto fare, ricordatevi che questo pane si chiama “pasta dura” non a caso.
5. Ora l’impasto mostrerà timidi segni di distensione. È il momento: imbracciate il mattarello e randellate! Una ventina di colpi ben assestati su tutta la lunghezza, prima di riavvolgerlo. Alternate lavoro di mano e lavoro di mattarello per altre 5-6 torciture: allungate, randellate, girate di 90° e riavvolgete. La metà del successo, con la pasta dura, sta nell’energia con cui tenete testa all’impasto. È forte? Voi siatelo di più.
6. Il bello della pasta dura è che non ha bisogno di una doppia lievitazione: appena avete terminato di lavorarla la mettere in forma. La sua silohuette è questione sostanziale, non solo estetica.
Dividete l’impasto in 8 pezzi e ricavatene dei serpentelli. Lavorate uno alla volta tenendo gli altri sotto la ciotola.
Stendetelo con il mattarello in una sfoglia stretta e lunga procedendo sempre dal centro verso le estremità. Schiacciate lentamente: dovete far uscire le bolle d’aria che si stanno già formando, senza che la superficie si laceri.
Arrotolate strettamente la sfoglia cercando di creare tensione.
Sigillate l’estremità e mettete i rotolini sotto la ciotola man mano che sono pronti (non si appicciano). Continuate fino a esaurimento dei pezzi, poi ricominciate il giro, rispettando l’ordine di lavorazione. Stavolta l’impasto sarà più forte: dedicate la massima attenzione a questa operazione, qui sta l’altra metà del successo della vostra pasta dura.
Quando tutti i rotolini saranno pronti, copriteli con un canovaccio pulito e lasciateli lievitare per mezz’ora circa.
7. Nel frattempo, accendete il forno al massimo. Se avete una pietra refrattaria mettetecela fin d’ora, altrimenti rivestite di carta da forno una teglia per biscotti.
8. Quando i panini sono pronti – compatti al tatto, gonfi e ben tesi in superficie – incideteli con la lametta: un taglio profondo 3 cm (con la pasta dura potete ripassarlo più volte, se serve) e li vedrete aprirsi all’istante, pronti a spiccare il volo.
9. Poggiateli sulla pietra refrattaria bollente e fateli cuocere per 15 minuti, o finché non li vedete ben gonfi e appena dorati.
Hanno una crosta sottile e fragrante, e una mollica compatta come ovatta e altrettanto bianca e soffice. Se siete di quelli che non resistono alle tentazioni, inizierete a mangiarli senza attendere l’entrata in scena di salame e vino rosso. Ma se volete un consiglio, non rinunciateci…
(Le foto non sono quelle del libro, sono casalinghe da quarantena, ma servono a dimostrazione che è si riesce davvero).
Cucinofacile.it